L’importanza della crittografia nella NIS: tra vincolo normativo e necessità strategica
Redazione LexTech Hub
24 mar
Tempo di lettura: 4 min
Data Protection Forum 2025
Con la direttiva NIS2, l’Unione Europea impone misure stringenti per rafforzare la resilienza digitale, elevando la crittografia a pilastro strutturale della sicurezza. Protezione dei dati, integrità delle comunicazioni, difesa dalle minacce avanzate: la cifratura è un baluardo contro intrusioni e compromissioni. Ma è sufficiente? Il quadro normativo è chiaro, l’effettività della sua applicazione molto meno. Tra vincoli regolatori e limiti pratici, la crittografia è o non è una garanzia?
Crittografia e NIS2: un obbligo che non basta
La NIS2 allarga il perimetro degli obblighi di sicurezza per le imprese e le infrastrutture critiche. Gli operatori devono implementare misure di gestione del rischio, assicurare la protezione dell’integrità dei dati e adottare soluzioni crittografiche robuste. Il principio di end-to-end encryption emerge come best practice, soprattutto nelle comunicazioni sensibili e nei servizi digitali essenziali.
Bisogna prestare attenzione, inoltre, al tema della obsolescenza di alcuni algoritmi crittografici. RSA, AES, ECC sono oggi considerati sicuri, ma per quanto ancora? La crescita della potenza computazionale e il progresso dell’informatica quantistica potrebbero mettere in discussione le certezze attuali. La NIS2 impone standard minimi, ma non affronta il tema del post-quantum computing: le aziende più avanzate stanno già sperimentando alternative, mentre molte altre rischiano di trovarsi vulnerabili senza nemmeno rendersene conto.
Essere assistiti nella compliance risulta quantomai fondamentale, perché la lettera della NIS2 impone standard elevati ma non misure concrete da adottare in termini di crittografia.
Oltre la norma: la crittografia come pilastro strategico
Non si tratta solo di compliance. La crittografia deve essere integrata in un’architettura di sicurezza by design, capace di proteggere dalle minacce emergenti: ransomware, attacchi alla supply chain, accessi non autorizzati. La normativa impone obblighi, ma l’efficacia delle misure dipende dalla loro applicazione concreta.
Gli algoritmi crittografici non sono tutti uguali. Mentre gli attuali standard garantiscono un alto livello di protezione, la velocità con cui gli attacchi si evolvono richiede un costante aggiornamento delle strategie di sicurezza. Adottare una crittografia avanzata significa non solo proteggere le informazioni, ma anche garantire la fiducia degli utenti e dei partner commerciali. La sicurezza non è solo una questione tecnica, ma un elemento chiave per la competitività.
Un altro nodo cruciale? La gestione delle chiavi crittografiche. Una protezione avanzata è inutile se le chiavi vengono compromesse. Il paradigma zero trust, ormai centrale nelle strategie di sicurezza, impone controlli stringenti anche su questo fronte. Ma quante imprese sono davvero pronte per un modello di sicurezza senza fiducia predefinita? La realtà mostra uno scenario ancora molto eterogeneo: diverse imprese adottano sistemi crittografici, lasciando, tuttavia, falle enormi nella protezione delle chiavi, rendendo vana ogni difesa.
Oltre a ciò, vi è il problema della scalabilità. Le grandi infrastrutture critiche, come le reti di telecomunicazioni o i sistemi finanziari, devono gestire enormi volumi di dati crittografati. Questo impone non solo protocolli sicuri, ma anche soluzioni efficienti in termini di prestazioni. Un sistema sicuro ma lento è comunque inefficace. L’adozione di soluzioni avanzate di homomorphic encryption e crittografia multi-party computation (MPC) può rappresentare una strada percorribile per migliorare sicurezza e operatività senza compromessi.
Paradossi e rischi: la crittografia è sufficiente?
L’implementazione della crittografia non è esente da contraddizioni. Primo paradosso: più sicurezza significa meno accessibilità. Un sistema blindato può rallentare i processi aziendali, mentre una protezione blanda spalanca la porta alle intrusioni. Troppe aziende hanno subito attacchi devastanti non per assenza di crittografia, ma per una gestione superficiale delle chiavi di cifratura.
Secondo paradosso: la richiesta di backdoor governative. Alcuni Stati membri premono per soluzioni che consentano alle autorità di accedere ai dati cifrati per motivi di sicurezza nazionale. Un’apertura di questo tipo rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, minando la fiducia negli standard di protezione e creando vulnerabilità sfruttabili da attori ostili. La storia della cybersecurity dimostra che ogni porta secondaria, prima o poi, viene forzata.
Infine, il problema della sicurezza della supply chain, di cui si è parlato: un’azienda può adottare i migliori protocolli crittografici, ma se i suoi fornitori operano con standard minimi, l’intero ecosistema resta vulnerabile. La NIS2 prova a risolvere il problema imponendo requisiti più severi, ma l’efficacia dipenderà, ancora una volta, dall’effettiva capacità di enforcement. Le sanzioni previste potrebbero non bastare a spingere gli operatori meno strutturati a conformarsi, lasciando un divario tra chi innova e chi rimane esposto.
Conclusione: regolamentare non basta
La crittografia è uno scudo, ma non una soluzione assoluta. La NIS2 ne impone l’uso, ma l’efficacia della sua applicazione resta incerta. Le imprese devono fare di più: non basta rispettare gli obblighi, serve una strategia proattiva. La sicurezza informatica non è un elenco di adempimenti, ma una mentalità, che per essere implementata richiede precisione e attenzione.
L’Unione Europea ha tracciato una rotta, ma tra regolamento e realtà esiste sempre un divario. Le minacce evolvono, gli attaccanti affinano le tecniche, le soluzioni di oggi potrebbero diventare obsolete domani. Il rischio diventa quello di scoprire troppo tardi che la protezione che si credeva inattaccabile era, in realtà, un’illusione. La crittografia non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza: chi si ferma alla compliance rischia di rimanere indietro. E nel mondo della sicurezza informatica, rimanere indietro equivale a perdere la battaglia prima ancora di combatterla.
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